vento del Nord
Ed.
Iperborea, trad. Elisabetta Svaluto Moreolo, pagg. 286, Euro 17,50
Zayed
Hawass aveva perso la memoria. Aveva dimenticato tutto e non sapeva più chi
era. Del suo passato ricordava solo questo nome e un segreto.
Che
inizio foriero di tristezza per questo nuovo libro di Kader Abdolah che è, sì,
triste, ma bello, bellissimo. Perché questa è una tristezza insita nella vita,
in quello che ci può succedere e di cui nessuno è responsabile. E i pensieri,
le riflessioni suscitate dall’Alzheimer mai nominato ci fanno indugiare sulle
pagine, così come ci riempie di dolcezza la storia dell’amicizia tra Zayed e
Abdolkarim. “Il faraone d’Olanda” è un romanzo sulla decadenza fisica e mentale
causata dall’età che avanza, sull’amicizia, sulla morte (una morte che non fa
paura, che ci prospetta un’altra vita nel ricordo di chi resta), sul distacco
da una patria e sul diritto al ritorno nella terra dove affondano le nostre
radici e dove riposerà il nostro corpo.
Il vero nome di Zayed Hawass era Herman Raven. Alle sue spalle aveva una brillante carriera di archeologo in Egitto, aveva pubblicato libri su quel paese dove aveva vissuto e partecipato agli scavi più importanti nelle tombe dei faraoni. Tutto era stato cancellato dalla sua mente. Ricordava un solo nome, che non era quello di uno dei faraoni più noti, ma di una regina poco conosciuta, Merneith.
E il suo segreto riguardava proprio lei, Merneith, la cui mummia giaceva in un sarcofago nella sua cantina. Soltanto l’amico Abdolkarim (figlio di un restauratore di libri antichi del Cairo ed ex operaio in una ditta di lavatrici dell’Aia) ne è al corrente. Anzi, Abdolkarim ha dipinto su pannelli di legno le figure fantastiche che sorvegliano il sonno dei faraoni nelle loro tombe per poi attaccarli sulle pareti e sul soffitto della cantina- sommi sacerdoti, guardiani, giovani donne, teste di cani e di gatti, le piante del Nilo tra cui si nascondono i coccodrilli. E Ra, il dio del sole con corpo di uomo e testa di falco- uno spettacolo che lascia senza fiato il direttore del Museo Nazionale delle Antichità di Leida quando viene invitato a vedere la mummia. Perché i due amici gli hanno chiesto aiuto per realizzare il loro intento, riportare la regina Merneith in Egitto prima che per loro sia troppo tardi, prima che Zayed si smarrisca del tutto nei meandri della sua mente, prima che la Morte li sorprenda alle spalle, come dice la poesia “Il giardiniere e la morte”.
Quello che succede da adesso in poi è una tragicommedia. Non possiamo mai ridere apertamente perché siamo rattristati nel vedere ritornare bambino un uomo che aveva raggiunto le vette del sapere, ma sorridiamo perché le disavventure dei due vecchietti sono buffe, ci inteneriamo nel leggere dell’affetto con cui Abdolkarim si prende cura dell’amico, lavandolo, allacciandogli i pantaloni dopo che questi è andato in bagno, aiutandolo a camminare- ognuno di noi vorrebbe avere un amico come Abdolkarim. E finiamo per ammirare Abdolkarim che raccoglie il testimone e, con cocciutaggine e orgoglio, porta a compimento quello che si erano prefissati, anche se deve farlo da solo, perché i coccodrilli che tormentavano Zayed in sogno avevano raggiunto il suo amico.
Riesce a spuntarla, Abdolkarim. Non si
lascia comprare da chi offre dei soldi per avere la mummia- da una parte c’è la
realtà della nostra società consumista e governata dal dio denaro, dall’altra
ci sono loro, i due amici di cui poi ne resta uno solo, che vogliono preservare
la dignità della regina morta quattromila anni fa. “Era un uomo speciale”, dirà
la figlia di Zayed che porta il nome della donna faraone, “che cercava nel
profondo della terra l’oro delle civiltà passate”- e non era certo l’oro che si
trasforma in soldi.
Uno dei più bei libri dello scrittore
iraniano che è rifugiato politico nei Paesi Bassi dal 1988, colorato della
malinconia del tempo che passa, di nostalgia, ma anche di serenità.
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