lunedì 29 agosto 2022

Gard Sveen, “Le lacrime di Medusa” ed. 2022

                                                                         vento del Nord

   cento sfumature di giallo

Gard Sveen, “Le lacrime di Medusa”

Ed. Marsilio, trad. G. Paterniti, pagg.439, Euro 19,00

    1988. Viene ritrovato nei pressi di Oslo il corpo di Kristiane, una ragazzina di quindici anni di cui era stata denunciata la scomparsa. Tommy Bergmann è un giovane poliziotto alle prime armi e rimane sconvolto da quello che vede, da quel corpo straziato su cui l’assassino ha infierito. E ricorderà per sempre le parole della madre della ragazza- è tutta colpa mia. Ma da dove gli veniva quell’impressione di aver già visto quella donna che ora tentava di tagliarsi le vene dei polsi? Un ricordo di un lontano indefinibile passato…

   Novembre 2004. Muore una giovane prostituta straniera, uccisa con le stesse modalità con cui Kristiane era stata uccisa sedici anni prima. Il presunto assassino di Kristiane- un insegnante che aveva confessato quel delitto e altri precedenti- era però ricoverato in un ospedale psichiatrico. Era stato condannato per un errore giudiziario? L’uomo era forse un megalomane che si era attribuito delitti non commessi? Perfino la madre di Kristiane aveva sempre sostenuto che lui non fosse il colpevole- perché però taceva sulle ragioni della sua convinzione? Un Tommy Bergmann con più di un’ombra sulla sua personalità si trova ad indagare sul caso insieme a Susanne, una ambiziosa giovane collega, separata da poco dal marito e con una bimba piccola.


     Il romanzo di esordio di Gard Sveen, “L’ultimo pellegrino” (pubblicato nel 2018), aveva vinto entrambi i maggiori premi scandinavi per la letteratura poliziesca, premi meritatissimi perché era un romanzo eccellente che superava i limiti della letteratura di genere. “Le lacrime di Medusa” (secondo di una serie con Tony Bergmann) rientra invece a pieno titolo nei confini della letteratura di indagine poliziesca e mi permetto di dire che, pur sapendo che sarebbe stata una lettura diversa, pur riconoscendo la bravura stilistica dello scrittore, è una delusione anche se offre spunti interessanti di riflessione.

    Quello che piace del romanzo è l’ambientazione norvegese, particolarmente ‘rinfrescante’ se letto i questa torrida estate. A novembre a Oslo il buio cala già presto, scende la prima neve a imbiancare le strade, fa freddo. E non si può fare a meno di chiedersi se non ci sia un collegamento tra l’efferatezza dei delitti in cui le vittime sono soprattutto di sesso femminile (e questo non solo nel libro di Gard Sveen se ‘mappiamo’ le scene del crimine letterario in Europa) e il clima nordico, quasi che l’oscurità esterna si annidi nella mente e nel cuore delle persone.


Perché nessun personaggio si salva da una qualche distorsione mentale ne “Le lacrime di Medusa”. Ognuno di loro ha qualche ricordo, qualche trauma giovanile, qualche esperienza che affiora in questa indagine in cui tutti hanno segreti che non vorrebbero venissero alla luce. Ad iniziare da Tommy Bergmann (non vede forse se stesso negli assassini, lui  che ha messo in fuga la moglie?), per proseguire con il medico psichiatra della clinica in cui è ricoverato l’insegnante che del tutto innocente non può essere, con il suddetto insegnante che mostra più di un segno di follia, con la madre di Kristiane (il personaggio più disturbato dell’intera vicenda), la giovane Susanne che vede minacciata la sua bambina, altri personaggi ancora- tutti un poco, o un po’ tanto ‘fuori di testa’, per dirlo in linguaggio colloquiale.

    La curiosità ci trascina nella lettura, si moltiplicano i morti, l’aria è satura di minaccia, la follia tracima dal passato nel presente, fino alla soluzione finale. Che però non ci convince.

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venerdì 26 agosto 2022

Gian Sardar, “Papaveri di fuoco” ed. 2022

                             Voci da mondi diversi. Stati Uniti d'America

                                       guerra del Kurdistan


Gian Sardar, “Papaveri di fuoco”

Ed. Neri Pozza, trad. Chiara Ujka, pagg. 336, Euro 19,00

      Quanti di noi sanno di preciso dove è il Kurdistan? Quanti sanno qual è la capitale del Kurdistan? E che cosa è successo o sta succedendo in Kurdistan? Il potere dei libri è questo- portarci in paesi lontani, insegnarci la loro storia e la loro cultura intessendole in una trama avvincente, facendo vivere sulle pagine personaggi alla cui vita noi prendiamo parte.

     E’ il 1979.

Olivia ha un sogno, diventare fotografa, ottenere quel ruolo nel giornale in cui sta lavorando come semplice segretaria- perché sono ancora gli anni ‘70 e, nonostante i fermenti, le donne sono ancora per lo più relegate nelle mansioni subordinate di sempre.

Anche Delan è un sognatore, ma i suoi sogni sono diversi da quelli di Olivia, il suo passato è lontano anni luce da quello di Olivia, anzi- potranno mai intendersi? Delan ha avuto un colpo di fortuna, è arrivato dal Kurdistan, recita in piccole parti a Hollywood, ma chissà…è pur sempre un attore, bello come un attore, e Hollywood è pur sempre Hollywood.


Quando Delan riceve una telefonata da casa, decide che sì, partirà, andrà ad assistere al matrimonio del cugino. La madre gli ha detto che non c’è pericolo, adesso. Davvero gli ha detto così? In quelle telefonate in cui ogni tanto si sente il ‘clic’ che indica che la linea è controllata, si può dire la verità? E comunque anche Olivia partirà con lui. Olivia è piena di entusiasmo e di un pizzico di incoscienza. È innamorata di Delan, ma avverte che l’amore non può essere completo se si ignora così tanto della vita dell’altro. Lei vuole conoscere la sua famiglia, vedere i luoghi in cui è cresciuto. E poi questa può essere la sua grande occasione per fare gli scatti che le faranno vincere il posto di fotografa. Nella sua fantasia romantica Olivia si vede come uno dei grandi fotografi che ammira, che hanno imposto foto iconiche all’immaginario collettivo.

    Il volo dalla California al Kurdistan è lungo e la prima avvisaglia di pericolo, di quel pericolo che ora dura il tempo di una sosta di emergenza in Svizzera e dopo permeerà tutte le ore del giorno e della notte, è nell’allarme destato dalla minaccia che ci sia una bomba a bordo dell’aereo. In Svizzera (non a caso in un paese tradizionalmente neutrale) Delan è tentato di non proseguire, forse questo è un avvertimento del destino. Ma Olivia è arrivata troppo lontano per tornare indietro, non riesce a rinunciare al desiderio di conoscere la famiglia di lui e al sogno dello ‘scatto’ che potrebbe cambiarle la vita.


    Arrivano in un paese dove c’è il coprifuoco, dove l’elettricità manca a sorpresa per ore, dove le persone scompaiono, possono ricomparire e non sono più le stesse, oppure si può non sapere più nulla di loro. Sono nel Kurdistan iracheno, in una condizione di guerra continua dove è difficile cercare di condurre un’esistenza normale. Olivia non sapeva nulla, né dei matrimoni combinati né dei costumi castigati delle donne né dell’impossibilità di anche solo sfiorare il proprio compagno. Non sapeva della gentilezza squisita verso gli ospiti, della generosità tra amici. E purtroppo non si aspettava il pericolo, i bombardamenti, i tradimenti, gli arresti. Riuscirà l’amore a sopravvivere a tutto questo? Riuscirà a cambiare, l’amore, da sentimento leggero e romantico a qualcosa di più profondo che supera le differenze e le incomprensioni?

    E non è solo l’amore che cambia. Cambia anche il mito della fotografa di guerra, perché a Olivia è impossibile essere spettatrice soltanto. Olivia non può scattare senza pensare a quello che sta accadendo sotto i suoi occhi. È lecito fissare l’attimo tragico di una morte violenta sulla pellicola e poi rendere pubblica quell’immagine? Come si concilia la sacralità della morte con l’arte che diventa testimonianza? Nei nostri occhi rosseggiano quei papaveri di fuoco, simbolo della bellezza che fiorisce vicino alla cenere.


     A tratti il romanzo di Gian Sardar (figlia di padre iracheno e madre americana) è rallentato da ripetizioni e un eccesso di descrizioni, ma è comunque un libro rivelatore di altre realtà e altri mondi.

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martedì 23 agosto 2022

Jurica Pavičić, “Acqua rossa” ed. 2022

                                                   Voci da mondi diversi. Croazia

cento sfumature di giallo

Jurica Pavičić, “Acqua rossa”

Ed. Keller, trad. Estera Miocic, pagg. 367, Euro 18,50

 

     23 settembre 1989. Un villaggio sulla costa dalmata. È una serata di festa, quel sabato del 23 settembre. C’è musica, si balla, si beve, si mangia. Una ragazza di diciassette anni, Silva Vela, non torna a casa. Né la mattina della domenica né mai. È scomparsa. Le indagini sono affidate all’ispettore Gorki Šain. Soltanto nel 2016, ventisette anni dopo, si arriverà alla soluzione del mistero. Quasi trent’anni in cui non è solo una ragazza ad essere scomparsa ma tutto un mondo, e il rosso di cui si tinge il mare davanti agli occhi di Gorki non è solo il rosso del sole al tramonto, o quello ormai scolorito di una vittima, ma è anche il rosso ‘passato di moda’ come colore di un partito, il rosso del sangue di due guerre. E il fascino di questo insolito romanzo di indagine poliziesca è proprio in questo vasto affresco storico del paese che una volta si chiamava Jugoslavia.

   Dopo aver ballato una notte intera, dopo aver amoreggiato con il figlio del panettiere (il suo fidanzatino, però, era un altro e quella notte si trovava sull’autobus di ritorno da Spalato), di Silva si perdono le tracce. Ma quante sono le adolescenti che scappano di casa? Oltretutto viene fuori che le compagnie frequentate da Silva non erano poi tanto per bene, girava droga, forse spacciava lei stessa. E c’era una testimone che aveva parlato con lei, in coda per acquistare un biglietto per andare…dove? La testimone non lo sapeva, però era certa fosse lei. Quando? Sabato 23 settembre? Ma no, doveva essere la domenica mattina.


   Una data che ritorna ancora ed ancora, quel 23 settembre, perché la vita si è fermata quel giorno, prima di tutto per i genitori e il fratello gemello di Silva, e poi per gli altri implicati nel caso, il figlio del panettiere, il fidanzatino, l’ispettore. È come un compleanno mancato, quel 23 settembre. Ad un certo punto la polizia smette di indagare oltre. Se Silva è andata all’estero, avrà avuto qualche motivo, si farà viva quando vuole lei. Solo il gemello Mate non si arrende. Continuerà a cercarla per ventisette anni, seguendo ogni labile traccia, senza arrendersi.

   L’anno era il 1989. L’ultimo anno del comunismo. L’ultimo anno dei ritratti di Tito appesi negli uffici e nelle case. L’ultimo anno in cui il nome di Gorki (voluto dal nonno partigiano in onore dello scrittore russo) era un nome onorevole, prima che anche la statua al nonno partigiano venisse abbattuta. I ragazzini poco più grandi di Silva saranno arruolati (il figlio del panettiere è felice di partire e scansare le occhiate malevole, non sa che cosa lo aspetta), l’ispettore viene sollevato dall’incarico (lo ritroveremo che cerca di acquistare terreni per conto di un’impresa immobiliare irlandese che vuole edificare un villaggio turistico, ‘tuo nonno sparerebbe subito ad uno come te’, gli dice una vecchia raggirata perché venda la sua proprietà), un ex spacciatore assume ruoli di comando, il fidanzatino si imbarca per mari lontani.


   Sono trent’anni che hanno cambiato tutto, ma proprio tutto nella ex Jugoslavia e nel paesino dalmata diventato meta turistica. Hanno portato il consumismo e la corruzione. E una soluzione inaspettata.

   La narrativa scorre veloce, i capitoli sono intitolati ai vari personaggi su cui si sposta l’attenzione, mentre gli anni si susseguono con il solo punto fermo di una notte di settembre. Le persone cambiano, di dentro e di fuori. Sarebbero cambiate comunque, ma come sarebbero se Silva non fosse scomparsa? che direzione avrebbe preso la vita del fratello gemello che aveva interrotto gli studi per dedicarsi alla ricerca di lei? e quella dei genitori? e del panettiere? e del fidanzatino che è diventato un colosso obeso? e di Gorki? Silva aveva rovinato la vita a tutti. Era lei che l’aveva rovinata oppure…?

   Questo non è un comune ‘giallo’, leggetelo per quello che vi dice della Storia.


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venerdì 19 agosto 2022

Satoshi Yagisawa, “I miei giorni alla libreria Morisaki” ed. 2022

                                              Voci da mondi diversi. Giappone

  romanzo di formazione

Satoshi Yagisawa, “I miei giorni alla libreria Morisaki”

Ed. Feltrinelli, trad. Gala M. Follaco, pagg. 160, Euro 15,20

    Jinbocho. La strada di Tokyo su cui si affaccia una libreria dopo l’altra. Ognuna specializzata in un settore diverso. Il paradiso dei lettori. Chi di noi lettori appassionati non passerebbe lì intere giornate alla ricerca di tesori?

    La libreria Morisaki è appartenuta da sempre alla famiglia di Takako, anche se lei non ci ha mai messo piede. É una libreria che vende libri usati, alcuni dei quali sono edizioni rare. Si trova in un edificio di legno di due piani e quello superiore può essere adibito ad abitazione.

     Takako sta attraversando un momento difficile. Quello che credeva essere il suo fidanzato le ha detto di punto in bianco che sta per sposarsi. Con un’altra, naturalmente. E con grande faccia tosta le ha anche proposto di continuare a vedersi. Takako non ha solo perso il fidanzato, ma anche la fiducia in se stessa, i sogni del futuro, la speranza di farsi una famiglia. Si è licenziata perché non sopportava di vedere ‘lui’ nel suo ambiente di lavoro. E si è rifugiata nel sonno, cancellando la realtà che la circonda. Takako dorme, a mala pena mangia qualcosa prima di ripiombare nel sonno. É a questo punto che si fa vivo lo zio Satoru, fratello di sua madre (è lei che gli ha parlato della condizione di Takako?).


     Takako non vede lo zio dagli anni del liceo, di lui sa che è stato lasciato dalla moglie- questo abbandono che hanno subito entrambi può essere un legame tra di loro? E comunque Takako accetta il suo invito di occuparsi del negozio al mattino e di trasferirsi nella stanza al piano superiore della libreria.

    La parte più bella del libro è questa parte iniziale, dell’incontro tra Takako e i libri, un incontro tra estranei. Takako non ha mai provato interesse per la letteratura e le pile di libri che ingombrano la stanza che sarà la sua sono solo degli ‘oggetti’ fastidiosi e nidi polvere.


Quando al mattino scende le scale e si siede dietro il banco in attesa di clienti, non farebbe differenza se lei fosse lì a vendere frutta e verdura. Poi, in una notte in cui fa fatica ad addormentarsi, Takako prende in mano un libro. E non smette più di leggere. Letteralmente. Non è solo ‘quel’ libro che va avanti a leggere fino al mattino e di cui si appassiona  a parlare con lo zio, ma, dopo di quello, continua a leggere, pescando a caso in quella inesauribile miniera, un libro dopo l’altro. E pensa di aver sprecato tempo, prima, quando non immaginava quale ricchezza i libri contenessero.

    Non si finirebbe mai di parlare dei libri, per le storie che contengono, per i personaggi che animano le storie, per le problematiche che offrono, per quello che di noi troviamo riflesso in quei personaggi e in quelle storie, per quello che impariamo della grande Storia. C’è altro ancora nei libri. Dalle pagine ingiallite trapela la vita di chi ha letto il libro prima di noi. I petali di un fiore fatto seccare, una sottolineatura, un’annotazione, un segnalibro che ci fanno indugiare cercando di condividere l’emozione o la riflessione di qualcun altro.


    La scoperta del piacere della lettura, l’entrare dentro le esistenze di altri, cambiano l’atteggiamento di Takako che ora comprende appieno la dedizione dello zio alla libreria di famiglia. E anche se lo svolgimento del romanzo, come le piccole storie che seguono, ci appare più banale, resta in noi la curiosità di andare a Jinbocho, di fermarci a sfogliare un libro e poi un altro ancora, a respirare il profumo della carta, finendo per acquistare almeno un libro, anche se non ne capiremo neppure il titolo, scritto in caratteri giapponesi. L’amore per i libri non conosce barriere.

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mercoledì 17 agosto 2022

Jung-myung Lee, “Buio in sala” ed. 2022

                                               Voci da mondi diversi. Corea

    la Storia nel romanzo

Jung-myung Lee, “Buio in sala”

Ed. Sellerio, trad. Benedetta Merlini, pagg.  304, Euro 17,00   

 

   Il 26 ottobre 1979 Park Jung-hee, terzo presidente della Corea del Sud, fu assassinato dal suo amico Kim Jae-gyu, capo del suo servizio di sicurezza. Era una figura controversa, considerato uno degli artefici della trasformazione del paese in una grande potenza economica ma anche osteggiato per il regime repressivo e autoritario caratterizzato dalla negazione dei diritti civili e politici nonché dalla repressione di qualunque forma di opposizione.

    Il 18 maggio 1980 scoppiò una rivolta popolare nel centro di Gwangiu contro la dittatura di Chun Doo-hwan- professori e studenti chiedevano riforme democratiche e l’abolizione della legge marziale. La risposta del governo fu una violenta repressione. La data del 18 maggio fu dichiarata in seguito Giornata di Commemorazione Nazionale.

Park Jung-hee

     Si svolge in questa atmosfera il romanzo “Buio in sala” di Jung- Myung Lee in cui il ‘buio’ del titolo non è solo quello della sala di teatro in cui si svolge la rappresentazione ma anche il buio in cui è sprofondato l’intero paese.

   Il romanzo inizia con una scena che potrebbe essere quella del maggio parigino del 1968- studenti in rivolta, camionette della polizia, gas lacrimogeni, violenza ed esaltazione. E sentiamo parlare per la prima volta di Choi Minseok, la Primula Rossa della situazione, il giovane uomo che sembra coordinare la protesta, il ricercato numero uno. Di lui non si sa nulla, neppure che aspetto abbia. La polizia si basa su una fotografia in cui si vede un vago profilo, una mano che tiene una sigaretta. Troppo poco. Ma, per qualche motivo, soprattutto perché c’è bisogno di un capro espiatorio, la figura di Choi Minseok verrà fatta coincidere con quella del giovane regista Lee Taejoo, laureato in letteratura inglese e appassionato di teatro.


Il sogno di Taejoo era sempre stato quello di riscrivere e reinterpretare una grande opera classica. Non era certo il primo ad ispirarsi ad opere di grandi scrittori del passato adattandole ad un tempo diverso. Lo aveva fatto lo stesso Shakespeare, così come lo aveva fatto O’Neill, come lo avevano fatto altri scrittori. E il Giulio Cesare si adattava perfettamente al suo intento. Era una tragedia politica e accusatoria che mostrava la natura del potere e la credulità della gente. Non solo. Giulio Cesare era stato ucciso dal suo amico – Tu quoque, Brutus, fili mi- proprio come il presidente coreano morto per mano del capo dei servizi segreti. Finirà che la rappresentazione verrà sospesa, Taejoo sarà arrestato insieme agli attori. Saranno tutti interrogati, torturati, condannati. Tranne Taejoo, però, che sarà rimesso in libertà.

     Ognuno dei capitoli è dedicato ad un personaggio diverso- il primo e l’ultimo a Choi Minseok. Uno vede come protagonista il poliziotto incaricato di individuare e arrestare Choi Minseok, uno è un piccolo romanzo a sé sul personaggio dell’attricetta innamorata di Lee Taejoo, uno è dedicato all’ispettore e un altro alla tragedia di Elettra che uccise la madre dopo che questa aveva ucciso il marito Agamennone, padre di Elettra.

Memoriale al massacro di Gwangiu

Sono capitoli collegati l’uno all’altro in maniera intrigante, perché- chi è in realtà Choi Minseok? Esiste veramente? È un personaggio creato come quello di una tragedia? E che ruolo ha il teatro? il teatro mette in scena la vita o la vita riproduce quello che accade nell’opera teatrale?  Tutto il mondo è un palcoscenico e uomini e donne sono semplici attori ( dice il verso di Shakespeare). Perché, accanto alla recita (vera) portata in scena da Taejoo, ce n’è un’altra di cui lui non sa nulla, orchestrata dal velleitario regista nonché poliziotto Kijoon e i contorni di questa doppia finzione si sovrappongono, si sfumano, finché non sappiamo più che cosa esista e che cosa sia solo un’ombra sul palcoscenico, che cosa sia realtà di rivoluzione e che cosa sia l’idea della rivoluzione.

    Il romanzo non può che finire come finiscono le tragedie e, come tutte le grandi opere teatrali, accende il nostro pensiero, stimola la riflessione- non è un romanzo che corteggia il mondo del consumismo, ci invita piuttosto a pensare ai valori della democrazia e ai pericoli della dittatura.

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domenica 14 agosto 2022

Cristina Cassar Scalia, “La carrozza della Santa” ed. 2022

                                                                    Casa Nostra. Qui Italia

     cento sfumature di giallo

Cristina Cassar Scalia, “La carrozza della Santa”

Ed. Einaudi, pagg. 284, Euro 18,00

   Un morto nella carrozza della Santa, che poi non si chiama proprio così, è la carrozza del Senato ma viene usata ogni anno durante i tre giorni della festa di sant’Agata, patrona di Catania. E viene trovato proprio il giorno in cui si concludono i festeggiamenti a cui l’intera Catania ha preso parte. Anche l’uomo che è stato sgozzato seguiva la processione ogni anno, per un voto fatto da sua madre. Si chiamava Vasco Nocera e apparteneva ad una famiglia molto ricca.

    Del caso dell’assassinio di Nocera si occupa il vicequestore Vanina Guarrasi, trasferita da Palermo a Catania. Trentanove anni, un amore con alti e bassi ma profondo, un passato traumatico che solo un siciliano può avere. Suo padre era stato ucciso dalla mafia sotto i suoi occhi quando lei aveva solo quattordici anni- Vanina non avrà pace finché tutti i colpevoli non saranno puniti, a costo di ucciderli lei stessa. E Vanina ha sempre trattato con freddezza l’uomo che ha preso il posto di suo padre a fianco di sua madre, un cardiochirurgo che le dimostra lo stesso affetto di quello che mostra verso sua figlia, la sorellastra di Vanina.


   Mi è capitato per caso di leggere- anzi di ascoltare un audiolibro di Cristina Cassar Scalia che fa parte della serie che ha per protagonista Vanina Guarrasi ed è precedente a questo. Mi è piaciuto, e molto. Tanto da leggere immediatamente “La carrozza della Santa”, appena pubblicato, e da ascoltare un altro audiolibro, il primo della serie. Mi piacciono le trame, semplici ma con qualcosa di particolare e sempre molto siciliano, un richiamo alle vicende storiche o sociali della regione. Mi piacciono i personaggi- si sa che ogni nuovo vicequestore o commissario o ispettore che appare sulla scena letteraria del giallo deve in qualche maniera differenziarsi per imporsi all’attenzione del lettore. Vanina lo fa- non è facile creare un vicequestore donna che non abbia esagerazioni, che mantenga un equilibrio tra il suo lato femminile e quello più tradizionalmente maschile che il ruolo le impone. Vanina ha tutte le doti per essere un eccellente vicequestore- è lucida, intuitiva, efficiente, ha sangue freddo, ma è anche empatica. Vanina non sa cucinare ma mangia di gusto e ha sempre una scorta di cioccolata per quando avverte un calo di zuccheri. E ci piace seguirla nelle trattorie e assaggiare con lei i piatti tipici, come facevamo con il nostro amato Salvo Montalbano.

    Vanina non è l’unico personaggio che attira le nostre simpatie. Il contrasto con l’ispettore Marta Bonazzoli di Brescia è particolarmente riuscito. C’è una lieve ironia nel sottolineare la bionda e algida bellezza di Marta e la sua scelta di mangiare vegano, rifiutando le leccornie catanesi. E poi c’è l’ottantatreenne Patané, il commissario in pensione che è intervenuto per aiutare a risolvere il caso del morto nel montacarichi nel primo romanzo, “Sabbia nera”, ed è riapparso nei romanzi seguenti perché è impossibile fare a meno della sua presenza, della sua competenza, del suo fare da anziano gentiluomo a metà tra una figura paterna e un educato e anziano corteggiatore.


    Tra piste false, con l’amante truffatrice che Nocera padre (il morto) ha rubato al figlio, con colpi di scena e vecchie storie che vengono alla luce (ecco dove Patané si rende utile), con un paio di viaggi a Palermo (quanto è disagevole quel viaggio in autostrada) che fanno rituffare Vanina in quella che lei chiama ‘la melma’ della mafia, il romanzo procede veloce, con bei dialoghi vivaci e uno stile brillante, senza mai scadere nella volgarità che troppo spesso pare essere un ossequio allo stile dei tempi e senza mai lasciarci dimenticare che questa è la Sicilia- senza esagerazioni si respira in ogni pagina una raffinata atmosfera siciliana, accentuata dai sapori dei cibi e dalle espressioni linguistiche.

   Una bella lettura.

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sabato 13 agosto 2022

Helga Flatland, “Una famiglia moderna” ed. 2022

                                                                          vento del Nord    

         storia di famiglia

Helga Flatland, “Una famiglia moderna”

Ed. Fazi, trad. A. Storti, pagg. 320, Euro 18,00

  Un’idea bellissima, quella di Sverre, di offrire a tutta la famiglia- moglie, le due figlie, una con il marito e l’altra con il compagno, il figlio, i due nipotini- un viaggio a Roma dove avrebbero festeggiato il suo settantesimo compleanno.

La vacanza inizia in maniera gioiosa. Non c’è niente di più bello che passare dalla grigia Norvegia all’assolata e allegra Italia per una famiglia così unita in cui ognuno ha sempre preso parte alla vita dell’altro.

    Poi…il fulmine a ciel sereno. Durante il pranzo Torill, la moglie di Sverre, annuncia che lei e Sverre si separeranno. Ma come? Perché? A settant’anni? Dopo una vita insieme? Sì, da un po’ le cose tra di loro non andavano più bene. Per i figli la notizia del tutto inattesa è un trauma. E, dopo questo preambolo, la narrazione- un’esplorazione della reazione di ognuno, una rielaborazione dei rapporti famigliari, tra le sorelle, tra le sorelle e il fratello, e dell’idea di coppia e di matrimonio- procede secondo tre diversi punti di vista, quello di Liv, la sorella maggiore, di Ellen, la secondogenita, e di Håkon, il figlio tanto desiderato nato dieci anni dopo Ellen.


     È soprattutto Liv a sentirsi in qualche modo tradita. Le sembra che le abbiano mentito. E, nello stesso tempo, in questo momento così difficile, si rende conto di come sia fragile un legame matrimoniale, di come possa traballare anche la sua stessa unione con il marito, sotto la pressione delle ansie che le provoca il figlio adolescente e quelle del lavoro. È poi così strano, così incomprensibile che i suoi genitori, finalmente liberi dopo che anche l’ultimogenito era andato via da casa, avessero deciso di separarsi?

   Ogni coppia ha i suoi problemi. La trentottenne Ellen sembra aver trovato l’uomo giusto, ma lo stress della delusione mensile per un mancato concepimento li porta ad una rottura.

    Quanto a Håkon, le sorelle e la madre si sono chieste spesso se sia ‘gay’ perché è sempre accompagnato da amiche sempre diverse. Håkon fatica a far capire la sua idea di amore e di coppia. Semplificando parecchio, Håkon è per la coppia aperta, per il rifiuto di un legame obbligato che sa di contratto. Finché si innamora.


    Proseguendo la lettura comprendiamo a poco a poco quello che la scrittrice vuole dirci. Con straordinaria leggera profondità, con velato umorismo ed ironia, ci rendiamo conto che ognuno è un individuo a sé, ognuno ha la sua storia e la sua vita e non esiste una regola valida per tutti. Il microcosmo di una famiglia con tre figli adulti, un nipote adolescente e una bambina in età di asilo offre una molteplicità di spunti per comportamenti diversi ed è interessante e istruttivo osservare come ogni personaggio condivida ricordi comuni, così uguali ed eppure così differenti, come una coppia di marito e moglie abbia saputo prendersi la responsabilità di essere prima di tutto un padre e una madre, come l’ordine di nascita dei tre figli abbia inciso sul loro carattere e sulle dinamiche dei rapporti tra di loro.

    Una famiglia moderna, capace però di poggiarsi su valori che non hanno una scadenza, diventa la storia di quattro famiglie che seguono ognuna la sua strada, senza mai tralasciare di coltivare, però, il sentimento che è il fondamento su cui poggia l’unione famigliare- tutti per uno, uno per tutti, come i moschettieri. Se Torill viene ricoverata in ospedale, Sverre, l’ex marito corre al suo fianco, le due sorelle sono sempre pronte a prestare orecchio ai dispiaceri dell’una o dell’altra, a sostenere il fratello minore che vorrebbe sganciarsi dalle regole monogamiche della famiglia tradizionale.

     Una bella lettura.

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giovedì 11 agosto 2022

Selma Lagerlöf, “Bandito” ed. 2022

                                                              vento del Nord

                                              premio Nobel


Selma Lagerlöf, “Bandito”

Ed. Iperborea, trad.Luca Tapparo, pagg.314, Euro 19,00

 

      Isola di Grimo, arcipelago occidentale della Svezia. Una coppia non più giovane. I figli non vivono più con loro, sono soli. Un pensiero costante, un ricordo, forse un senso di colpa: quando il figlio minore, Sven, era bambino, lo avevano ‘ceduto’ ad una coppia inglese senza figli che gli avrebbe dato un futuro migliore di quello che loro potevano offrirgli. Non ne avevano saputo più nulla. Finché un giorno il padre aveva letto una notizia sul giornale e poco dopo il figlio, Sven Elversson, era ritornato a vivere sull’isola. Aveva preso parte ad una sfortunata spedizione inglese al polo Nord i cui partecipanti avevano dovuto svernare tra i ghiacci. E là, dopo aver finito le riserve, quasi impazziti per la fame, si erano macchiati di una colpa indicibile. I genitori adottivi di Sven lo avevano bandito dalla loro casa.

     “Bandito”, un titolo lapidario per un uomo che è stato bandito una prima volta quando era bambino- anche se nella prospettiva di un maggiore benessere-, una seconda volta adesso, da tutta la comunità e pubblicamente, quando il pastore, che dovrebbe accogliere tutti i fedeli, rivela dal pulpito il suo peccato, facendone oggetto di disprezzo e di disgusto.

    Eppure Sven Elversson è un brav’uomo. Di più. É generoso, pronto ad aiutare gli altri, a fare opere di bene, oltre ad essere istruito. Si presenta però con un atteggiamento umile, è come se avesse la sua colpa scritta in faccia, come se lui stesso non riuscisse a perdonarsi e non si aspettasse il perdono degli altri.


    Sven Elversson è il personaggio chiave del bel romanzo del premio Nobel Selma Lagerlöf, quello intorno a cui ruota tutta la trama e a cui si contrappongono gli altri personaggi. Perché questa è una storia che coinvolge un terzetto- due uomini rivali loro malgrado, Sven e il pastore Rhänge, e la donna che entrambi amano, la bella Sigrun, moglie del reverendo. E se Sven e la sua colpa sono un continuo elemento di confronto, è lei, Sigrun, la protagonista e la storia che la vede coinvolta è di una straordinaria attualità.

    Sigrun è innamorata del pastore, è lei stessa figlia di un uomo di chiesa e sa quale vita la aspetta. Non si aspetta però l’aspro paesaggio che circonda  la canonica in cui si trasferisce, soprattutto non si aspetta la gelosia ossessiva del marito e neppure la sua presenza incombente, i continui tentativi di soffocare la sua personalità che spengono la sua gioia di vivere. É come se proprio quegli aspetti di lei che lo avevano conquistato ora gli facessero paura perché  potrebbero attirare altre persone.

      I destini di questi tre personaggi si incrociano, ognuno di loro ha un percorso di crescita e di conoscenza di sé e il romanzo di Selma Lagerlöf  diventa un triplice romanzo di formazione in cui, però, sono soprattutto le scelte di vita del personaggio femminile a destare la nostra ammirazione, ricordandoci un poco quelle della Nora di Ibsen, altro grande scrittore nordico.


    E poi c’è una riflessione di fondo che percorre tutto il libro, quella della sacralità della vita e della morte. Se il romanzo inizia ombreggiando un doloroso episodio di morte per dare vita, termina con la buia realtà della prima guerra mondiale, con il mare che diventa una tomba a cielo aperto, disseminata dei cadaveri dei marinai delle navi affondate durante la battaglia dello Jutland e il quesito- chi o che cosa autorizza a dare la morte, a uccidere un altro uomo? Non è forse questa una colpa ben più grave di quella di cui è stato accusato Sven Elversson?

     Ammiriamo tutto del romanzo di Selma Lagerlof- lo stile narrativo, l’equilibrio della costruzione, la profondità e la leggerezza con cui tratteggia i personaggi, l’eticità dei temi trattati- e constatiamo quanto siano senza tempo gli argomenti e le problematiche che ci propone.

L’eternità della guerra e il perdurare della soggezione femminile (a distanza di più di un secolo) sono sconfortanti.

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domenica 7 agosto 2022

Belgheis Soleymani, “L’ultimo gioco di Banu” ed. 2022

                                                                     Voci da mondi diversi. Iran

     romanzo di formazione

Belgheis Soleymani, “L’ultimo gioco di Banu”

Ed. Brioschi, trad. Faezeh Mardani, pagg. 248, Euro 18,00

     Nel gennaio del 1979 l’ayatollah Khomeini rientrava in Iran, dopo che lo scià Reza Pahlavi era stato costretto all’esilio. Nasceva così la Repubblica islamica: bandite bevande alcoliche, gioco d’azzardo e prostituzione, perseguitati gli omosessuali, pena di morte per stupro e adulterio e per chiunque tenesse un comportamento contrario alla sharia, obbligatorio per le donne coprire le braccia e le gambe, nonché nascondere i capelli sotto un velo. È in questa atmosfera repressiva che si svolge il romanzo di Belgheis Soleymani, una delle più acclamate scrittrici iraniane.

     Il romanzo si apre con il funerale di due giovani controrivoluzionari. Erano amici di Gol-Banu, la ragazza protagonista, figlia di una povera donna che, tra i lavori che svolge, c’è anche quello di lavare i cadaveri prima della sepoltura. La vita di Gol-Banu sembra essere già segnata- secondo la tradizione è destinata a sposare un cugino anche se lei non vuole perché ha altre ambizioni. Banu ama leggere, vorrebbe studiare, e poi si innamora dell’insegnante venuto da Teheran e che però non la sposerà per l’opposizione della sua famiglia. Banu sposerà invece un uomo molto più anziano al servizio del regime islamico, ne avrà un figlio che però le verrà portato via e lei tornerà a studiare laureandosi in filosofia all’università.


     Se questa è in breve la storia di Banu, quella che noi leggiamo non è una vicenda lineare e- questo è il dettaglio narrativo in cui risiede il fascino del romanzo- non è neppure raccontata da un solo narratore con un unico punto di vista. Gol Banu, l’insegnante di cui lei si innamora, il marito che suscita in lei odio e amore, il nipote del marito, cugino del figlio che Gol Banu non ha più visto da quando era piccolo, e poi ancora Gol Banu che ormai è la professoressa Mohammadjani- sono tutti loro a prendere la parola. C’è lo scarto temporale di una vita intera tra l’inizio e la fine del romanzo che è un insolito romanzo di formazione al femminile in un paese in cui la libertà delle donne è molto limitata, sia nelle scelte personali più importanti sia in quelle della loro esteriorità. E i diversi punti di vista arricchiscono la narrazione- a volte rileggiamo qualcosa di cui abbiamo già letto ma con qualche differenza, in genere leggiamo proprio un’altra interpretazione di quanto è successo e sta a noi lettori interpretare e valutare e dare un significato. La figura di Banu ne esce vittoriosa.


    In qualunque paese, che una ragazza, figlia di una domestica, cresciuta in un ambiente privo di istruzione e senza stimoli culturali, riesca a laurearsi- e in filosofia- sarebbe considerato un successo personale. Motivo di più perché lo sia nell’Iran di Khomeini dove le donne sono continuamente mortificate e assoggettate alla volontà maschile. Nella professoressa Mohammadjani non c’è più nulla della ragazza che all’inizio non sa come fare per sottrarsi ad un matrimonio non voluto e da cui la libera provvidenzialmente la guerra quando il cugino viene fatto prigioniero. Banu ha sofferto, Banu ha vissuto l’esperienza della maternità e quella del carcere. La ragazza Banu muore in quel carcere dove si ammala con il seno ingorgato del latte che non può dare al suo bambino e rinasce diversa, le hanno strappato il cuore, le rimane il cervello. Lei non sa che cosa sia successo né il perché, lo sappiamo noi attraverso una voce narrativa diversa, quella del marito.

    Il contesto in cui si svolge la storia di Banu ci fa conoscere l’Iran del tempo dopo lo Scià, un paese in cui le luci si sono spente, un paese che ha perso la spontaneità e la gioia di vivere perché ogni comportamento può essere sospetto di immoralità, un sorriso e lo sfiorarsi delle mani possono essere considerati peccaminosi, possedere libri è pericoloso, le madri piangono i figli che muoiono in guerra e diventano martiri.

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