Ho notato i colori, per prima
cosa, delle tre figure femminili che salivano la scalinata di Capitol Hill il
20 gennaio 2021, Inauguration Day, un giorno che resterà nella Storia. Blu
laguna per Jill Biden, viola con un tocco di pervinca per Kamala Harris e
giallo per la giovane poetessa Amanda Gorman che doveva imporsi alla nostra attenzione con la
poesia che avrebbe recitato, “The hill we climb”. Mi è sembrato che quei tre
colori così ben armonizzati fossero un segnale di speranza e di fiducia nella
democrazia, un messaggio per cancellare la scena dei disordini su quella stessa
scalinata presa d’assalto una quindicina di giorni prima. Che fossero i tre
colori di una bandiera sventolata da queste tre donne, di età, origini e ruoli
diversi, pronte ad essere loro stesse luce, come dicono i versi finali
della poesia che qui potete leggere, nel testo originale e nella traduzione.
Amanda
Gorman,
nata a Los Angeles il 7 marzo 1998, ha pubblicato il suo primo libro di poesie
nel 2015 e nel 2017 ha vinto il titolo di National Youth Poet Laureate, che
premia il migliore giovane talento nel campo della poesia negli Stati Uniti. È stata
scelta per leggere una sua poesia durante la cerimonia di insediamento del
nuovo Presidente, Joe Biden.
THE HILL WE CLIMB
When day comes, we ask
ourselves where can we find light in this never-ending shade?
The loss we carry, a sea we must wade.
We’ve braved the belly of the beast.
We’ve learned that quiet isn’t always peace,
and the norms and notions of what “just” is isn’t always justice.
And yet, the dawn is ours before we knew it.
Somehow we do it.
Somehow we’ve weathered and witnessed a nation that isn’t broken,
but simply unfinished.
We, the successors of a country and a time where a skinny Black girl
descended from slaves and raised by a single mother can dream of becoming
president, only to find herself reciting for one.
And yes, we are far from
polished, far from pristine,
but that doesn’t mean we are striving to form a union that is perfect.
We are striving to forge our union with purpose.
To compose a country committed to all cultures, colors, characters, and
conditions of man.
And so we lift our gazes not to what stands between us, but what stands
before us.
We close the divide because we know, to put our future first, we must first
put our differences aside.
We lay down our arms so we can reach out our arms to one another.
We seek harm to none and harmony for all.
Let the globe, if nothing else, say this is true:
That even as we grieved, we grew.
That even as we hurt, we hoped.
That even as we tired, we tried.
That we’ll forever be tied together, victorious.
Not because we will never again know defeat, but because we will never again
sow division.
Scripture tells us to
envision that everyone shall sit under their own vine and fig tree and no one
shall make them afraid.
If we’re to live up to our own time, then victory won’t lie in the blade,
but in all the bridges we’ve made.
That is the promise to glade, the hill we climb, if only we dare.
It’s because being American is more than a pride we inherit.
It’s the past we step into and how we repair it.
We’ve seen a force that would shatter our nation rather than share it.
Would destroy our country if it meant delaying democracy.
This effort very nearly succeeded.
But while democracy can be periodically delayed,
it can never be permanently defeated.
In this truth, in this faith, we trust,
for while we have our eyes on the future, history has its eyes on us.
This is the era of just redemption.
We feared it at its inception.
We did not feel prepared to be the heirs of such a terrifying hour,
but within it, we found the power to author a new chapter, to offer hope and
laughter to ourselves.
So while once we asked, ‘How could we possibly prevail over catastrophe?’
now we assert, ‘How could catastrophe possibly prevail over us?’
We will not march back
to what was, but move to what shall be:
A country that is bruised but whole, benevolent but bold, fierce and free.
We will not be turned around or interrupted by intimidation because we know
our inaction and inertia will be the inheritance of the next generation.
Our blunders become their burdens.
But one thing is certain:
If we merge mercy with might, and might with right, then love becomes our
legacy and change, our children’s birthright.
So let us leave behind a
country better than the one we were left.
With every breath from my bronze-pounded chest, we will raise this wounded
world into a wondrous one.
We will rise from the golden hills of the west.
We will rise from the wind-swept north-east where our forefathers first
realized revolution.
We will rise from the lake-rimmed cities of the midwestern states.
We will rise from the sun-baked south.
We will rebuild, reconcile, and recover.
In every known nook of our nation, in every corner called our country,
our people, diverse and beautiful, will emerge, battered and beautiful.
When day comes, we step out of the shade, aflame and unafraid.
The new dawn blooms as we free it.
For there is always light,
if only we’re brave enough to see it.
If only we’re brave enough to be it.
LA COLLINA CHE SCALIAMO
Quando arriva il giorno,
ci chiediamo dove possiamo trovare una luce in quest’ombra senza fine?
La perdita che portiamo sulle spalle è un mare che dobbiamo guadare.
Noi abbiamo sfidato la pancia della bestia.
Noi abbiamo imparato che la quiete non è sempre pace,
e le norme e le nozioni di quel che «semplicemente» è non sono sempre
giustizia.
Eppure, l’alba è nostra, prima ancora che ci sia dato accorgersene.
In qualche modo, ce l’abbiamo fatta.
In qualche modo, abbiamo resistito e siamo stati testimoni di come questa
nazione non sia rotta,
ma, semplicemente, incompiuta.
Noi, gli eredi di un Paese e di un’epoca in cui una magra ragazza
afroamericana, discendente dagli schiavi e cresciuta da una madre single, può
sognare di diventare presidente, per sorprendersi poi a recitare
all’insediamento di un altro.
Certo, siamo lontani
dall’essere raffinati, puri,
ma ciò non significa che il nostro impegno sia teso a formare un’unione
perfetta.
Noi ci stiamo sforzando di plasmare un’unione che abbia uno scopo.
(Ci stiamo sforzando) di dar vita ad un Paese che sia devoto ad ogni
cultura, colore, carattere e condizione sociale.
E così alziamo il nostro sguardo non per cercare quel che ci divide, ma per
catturare quel che abbiamo davanti.
Colmiamo il divario, perché sappiamo che, per poter mettere il nostro futuro
al primo posto, dobbiamo prima mettere da parte le nostre differenze.
Abbandoniamo le braccia ai fianchi così da poterci sfiorare l’uno con
l’altro.
Non cerchiamo di ferire il prossimo, ma cerchiamo un’armonia che sia per
tutti.
Lasciamo che il mondo, se non altri, ci dica che è vero:
Che anche nel lutto, possiamo crescere.
Che nel dolore, possiamo trovare speranza.
Che nella stanchezza, avremo la consapevolezza di averci provato.
Che saremo legati per l’eternità, l’uno all’altro, vittoriosi.
Non perché ci saremo liberati della sconfitta, ma perché non dovremo più
essere testimoni di divisioni.
Le Scritture ci dicono di immaginare che ciascuno possa sedere
sotto la propria vite e il proprio albero di fico e lì non essere spaventato.
Se vorremo essere all’altezza del nostro tempo, non dovremo cercare la
vittoria nella lama di un’arma, ma nei ponti che avremo costruito.
Questa è la promessa con la quale arrivare in una radura, questa è la
collina da scalare, se avremo il coraggio di farlo.
Essere americani è più di un orgoglio che ereditiamo.
È il passato in cui entriamo ed è il modo in cui lo ripariamo.
Abbiamo visto una forza che avrebbe scosso il nostro Paese anziché tenerlo insieme.
Lo avrebbe distrutto, se avesse rinviato la democrazia.
Questo sforzo è quasi riuscito.
Ma se può essere periodicamente rinviata,
la democrazia non può mai essere permanentemente distrutta.
In questa verità, in questa fede, noi crediamo,
Finché avremo gli occhi sul futuro, la storia avrà gli occhi su di noi.
Questa è l’era della redenzione.
Ne abbiamo avuto paura, ne abbiamo temuto l’inizio.
Non eravamo pronti ad essere gli eredi di un lascito tanto orribile,
Ma, all’interno di questo orrore, abbiamo trovato la forza di scrivere un
nuovo capitolo, di offrire speranza e risate a noi stessi.
Una volta ci siamo chiesti: “Come possiamo avere la meglio sulla
catastrofe?”. Oggi ci chiediamo: “Come può la catastrofe avere la meglio su di
noi?”.
Non marceremo indietro
per ritrovare quel che è stato, ma marceremo verso quello che dovrebbe essere:
Un Paese che sia ferito, ma intero, caritatevole, ma coraggioso, fiero e
libero.
Non saremo capovolti o interrotti da alcuna intimidazione, perché noi
sappiamo che la nostra immobilità, la nostra inerzia andrebbero in lascito alla
prossima generazione.
I nostri errori diventerebbero i loro errori.
E una cosa è certa:
Se useremo la misericordia insieme al potere, e il potere insieme al
diritto, allora l’amore sarà il nostro solo lascito e il cambiamento, un
diritto di nascita per i nostri figli.
Perciò, fateci vivere in
un Paese che sia migliore di quello che abbiamo lasciato.
Con ogni respiro di cui il mio petto martellato in bronzo sia capace,
trasformeremo questo mondo ferito in un luogo meraviglioso.
Risorgeremo dalle colline dorate dell’Ovest.
Risorgeremo dal Nord-Est spazzato dal vento, in cui i nostri antenati, per
primi, fecero la rivoluzione.
Risorgeremo dalle città circondate dai laghi, negli stati del Midwest.
Risorgeremo dal Sud baciato dal sole.
Ricostruiremo, ci riconcilieremo e ci riprenderemo.
In ogni nicchia nota della nostra nazione, in ogni angolo chiamato Paese,
La nostra gente, diversa e bella, si farà avanti, malconcia eppure stupenda.
Quando il giorno arriverà, faremo un passo fuori dall’ombra, in fiamme e
senza paura.
Una nuova alba sboccerà, mentre noi la renderemo libera.
Perché ci sarà sempre luce,
Finché saremo coraggiosi abbastanza da vederla.
Finché saremo coraggiosi abbastanza da essere noi stessi luce.