Voci da mondi diversi. Penisola iberica
la Storia nel romanzo
il libro ritrovato
Jaume Cabré, “L’ombra dell’eunuco”
Ed. laNuovafrontiera, trad. Stefania Maria Ciminelli, pagg. 441, Euro 19,00
Titolo originale: L’ombra de l’eunuc
Le cronache dicono che sono
diventato pazzo quando tuo padre è fuggito. In effetti è andata così. Ma allora
avevo già dentro di me il seme della follia, spuntato quando ho capito che non
avrei mai potuto avere una vita normale accanto al mio amore. E la disperazione
mi ha portato alla costruzione di un’autentica opera d’arte che mi potesse
riscattare; ho trovato la vecchia formula dell’alchimia che dà senso au dur
désir de durer che ha tanto ossessionato il mio lato faustiano. E sai come ci
sono riuscito? Sai qual è questa opera d’arte? La bella storia degli amori
della tua bisnonna Pilar Prim de Genoana.
Quando ci accorgiamo che non
siamo soli, perché il nostro pensiero si aggira di continuo intorno ai
personaggi del libro che stiamo leggendo o abbiamo finito di leggere, vuol dire
che quello era un bel libro. Quando ci tornano in mente situazioni o frasi che
abbiamo trovato in quel libro e ci riflettiamo, ci poniamo domande, cerchiamo
risposte o altre soluzioni, vuol dire che quello era proprio un bel libro.
Quando persino una casa diventa un personaggio e le sue mura hanno una voce
muta che racconta una storia, vuol dire che quello era un libro davvero molto
bello.
“L’ombra dell’eunuco” dello
scrittore catalano Jaume Cabré è bellissimo, tanto quanto il suo “Le voci del
fiume”, pubblicato prima ma scritto dopo questo che è appena uscito.
Una famiglia: i Gensana di
Feixes, vicino a Barcellona. Una casa che è stata abitata per duecento anni da
sette generazioni di Gensana, con una lunga serie di Maur e di Anton che si
alternano, con gli stessi nomi che passano di nonno in nipote. Due voci narranti, di due uomini che
appartengono a due generazioni diverse di Gensana: l’anziano zio Maurici e il
nipote Miquel. Racconteranno due storie differenti, perché il primo, ora rinchiuso
in una casa di cura, è la
Memoria dei Gensana, anche se
è un Gensana per parte di madre, mentre il secondo è un figlio del suo
tempo, un ribelle che se ne è andato di casa per entrare in clandestinità e
lottare contro il regime franchista per poi ritrovarsi con un pugno di mosche
in mano, gli studi interrotti, ricordi che è impossibile cancellare, sensi di
colpa, tutto il peso delle sue “azioni e omissioni”. Ci sarà un conto da pagare
per tutto questo, ad un certo punto.
Tutto inizia in
un ristorante: Miquel Gensana ha accettato l’invito a cena di Julia, la collega
che deve scrivere un necrologio su Bolós, l’uomo politico che era il più caro
amico di Miquel. Compagno di scuola prima, insieme ad un altro: erano i tre
moschettieri, poi Rovira aveva preso i voti e Miquel e Bolós si erano uniti
alla guerriglia antifranco (nomi in codice, Simó e Franklin). Eppure, durante
la cena, Miquel parla soprattutto di sé e non di Bolós (che, peraltro, lui è
sicuro sia stato assassinato, così come è sicuro che lui stesso sarà la
prossima vittima raggiunta dal passato). Perché- Julia non può saperlo, ma il
ristorante che ha scelto è in quella che una volta era casa Gensana. Non più la
loro dalla sera di pioggia in cui il padre di Miquel era andato ad aprire la
porta, aveva detto, ‘torno subito’, ed era scomparso. Così com’era, in
pantofole.
Jaume Cabré è un
mago nel raccontare. Le due voci, di Maurici e di Miquel, si alternano senza un
ordine preciso, così come, senza ordine e all’improvviso, può accadere che si
passi dalla prima alla terza persona nel narrare le vicende, dall’oggettivo al
soggettivo, dall’allora all’adesso. Perché anche le carte del tempo vengono
rimescolate e distribuite senza un ordine e il lettore impara a destreggiarsi
fra i vari Maur e Anton delle varie generazioni. Ad ogni nome è spesso unito
un aggettivo che lo qualifica sul momento, come succedeva ai sovrani di una
volta. Così Miquel può essere di volta in volta, Miquel l’Indeciso, il
Cacadubbi, Miquel Che, l’Apostata, il Meditatore, l’Eterno Apprendista, mentre
Maurici è, per lo più, Maurici Senza Terra. C’è un significato dietro tutti
questi nomi: Maurici è il nipote orfano accolto per misericordia in casa dei
cugini e finirà, però, per ereditare la casa, lui che è sterile come un eunuco,
che è stato svergognato e ricattato perché omosessuale; Miquel è il figlio
ribelle che si trova a fare il Che con una pistola in mano senza però alcuna
certezza sulla giustezza di quello che sta facendo, che farà poi il critico-
che è uno sterile eunuco a fronte dell’artista creativo.
Amori, passioni, egoismi, segreti e tradimenti, un altro
romanzo dentro il romanzo della storia del passato raccontata da Maurici;
amori, segreti altrettanto pesanti e altrettanto gravi tradimenti nel racconto
della lotta armata della giovinezza di Miquel (che, senza saperlo, porta il
nome dell’amante dello zio).
E poi, la storia della casa, che ha anch’essa i
suoi segreti tra le fronde dei castagni, che racconta attraverso le spine del
rosaio e i rami del corbezzolo piantati vicino alla porta. La casa che è stata
tradita, giocata a carte, ipotecata, svenduta, con la stanza della biblioteca
trasformata nella sala kitsch di un
ristorante.
Un libro così
ricco che è un tesoro da non perdere.
la recensione è stata pubblicata su www.wuz.it